informazioni che
spiegano molte cose. Sono stata correntista della Banca Rasini dal 1980 al
1989. Ero titolare di due conti
correnti, nonché di un fido di oltre 100 milioni circa il quale non mi erano
mai state chieste garanzie di sorta perché venni presentata all’allora
presidente e direttore generale dottor Dario Azzaretto e da amici del vero proprietario del pacchetto azionario d maggioranza della
banca. Formalmente era intestato alla famiglia Azzaretto ma
nella realtà era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto, padre di Dario, era
all’epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente, ai fini della sua
inchiesta giornalistica, che non è stato evidenziato è che quando la mafia
siciliana si impossessa della banca Rasini, la banca è già di Andreotti.
Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentro, mi fu
detto, una società svizzera”.
Prendiamo con cautela
tale lettera, che Max Parisi ha invece preso molto sul serio. Non tanto per il fatto
che c’è di mezzo Andreotti, in fin dei conti è pacifico che Azzaretto fosse un
suo uomo.. Ma la Cordopatri dice di Azzaretto che è presidente, e qui ci siamo, e direttore generale. Abbiamo
visto che fino al giorno di San
Valentino il direttore era Vecchione, mantenuto in servizio, tra l’altro, fino all’87, nonostante fosse finito
dentro. Nell’84 arrivarono due svizzeri
e la banca fini a Nino Rovelli. Piuttosto che Giuseppe, era logico che dopo riprendesse a fare il direttore generale Dario
Azzaretto, che lo aveva già pur fatto per un paio di mesi.
Max Parisi è prolifico nelle sue inchieste quasi
settimanali contro Silvio Berlusconi. Sulla Padania del 19 agosto 1998, poi,
rivolge dieci domande sotto il titolo: “Berlusconi sei un mafioso?”. Non
avrà mai risposta. D'altronde “qualità” di
Silvio Berlusconi è sempre stata quella di evitare risposte a domande scomode.
E con Parisi c'è pure Umberto Bossi che,
come abbiamo appena accennato poco sopra, rilascia dichiarazioni su
dichiarazioni sempre su Berlusconi,
definito “il mafioso di Arcore.” Di
Bossi vogliamo ricordare questa dichiarazione
del 1995: “Non stringeremo mai
più accordi né con il mafioso
Berlusconi, uomo di Craxi e della P2, ne
con il fascista forcaiolo Fini. La Lega correrà da sola per l’autodeterminazione
dei popoli del Nord”. Dopo una simile dichiarazione
potremmo dire che per fortuna in Italia ci sono persone “coerrenti” come Bossi.
Ed è una calda
giornata di agosto del 1998 quando la quiete della Banca Popolare di Lodi viene
turbata da una visita inattesa. Un gruppo di uomini della Dia venuti da Palermo
chiedono di vedere gli archivi della Banca Rasini (non è mai troppo tardi,
diceva il maestro Manzi). Cercano su incarico
del pool antimafia, nel ambito dell’inchiesta a carico di Silvio Berlusconi e
Marcello Dell'Utri (inchiesta poi archiviata per Berlusconi, ma proseguita fino
alla condanna per Dell'Utri) per concorso esterno in associazione mafiosa e
riciclaggio di denaro della mafia, i
conti correnti Silvio Berlusconi e tutta
la documentazione relativa alle 25 “Holding Italiana” che custodiscono il capitale
della Fininvest. I pm Antonio Ingroia e
Nico Gozzo hanno spedito la Dia a Milano per ricostruire i finanziamenti alle
Holding Italiana a cavallo tra gli anni 70 e 80, quando il finanziere Filippo Alberto
Rapisarda, ex amico e poi accusatore di Dell'Utri, fa risalire i presunti investimenti miliardari del capo della mafia
Stefano Bontade nell’avventura televisiva di Berlusconi.
Alla richiesta di
vedere le carte della Rasini l’ufficio legale della Popolare di Lodi cade, o finge
di cadere, dalle nuvole: “Della Rosini e dei conti Fininvest non ci risulta
nulla”. A quel punto il consulente della Procura Francesco Giuffrida,
vicedirettore della Banca d’Italia a Palermo, tira fuori degli estratti conto
dimostrante l’esistenza di alcuni conti correnti intestati a Berlusconi o
riferibili alla Fininvest presso la Rasíni. A qualcuno dei banchieri lodigianí
finalmente torna un pochino di memoria: “Ci deve essere un archivìsta in pensione
che sa qualcosa”. Trovato l’archivista, visita con agenti e consulente
all'ultimo piano della banca, dove si trovano gli archivi della Rasìnì, che
sono sotto voci alquanto fantasiose, come ad esempio, parrucchiere, estetista e
simili. E qui salta fuori almeno una parte di quello che gli inquirenti
cercavano: la documentazione delle Holding Italiana. Si scopre che le Holding
non sono 25, ma 38. Si scopre anche un patrimonio parallele di Berlusconi: 105
libretti al portatore accesi presso il Monte dei Paschi di Siena, la Banca
Popolare di (S.P.33)
Qui 02/11/13