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UCRAINA: IL PAESE IN GUERRA CON LA PROPRIA STORIA
di Cesare Corda
Viaggiando regolarmente da ormai 22 anni nell’ex Unione Sovietica ho constatato, tra le tante altre cose, che la stragrande maggioranza degli ucraini non conosce la storia del proprio Paese. Questo dato non dovrebbe sembrare cosi’ anomalo: anche la maggioranza degli italiani e dei russi (e di ogni altro popolo) non conosce a sufficienza la storia del proprio Paese. Nel caso degli ucraini pero’ va sottolineato un aspetto singolare: a misconoscere la propria storia non sono solo quelli che la hanno studiata di meno, ma soprattutto quelli che la hanno studiata di piu’. A maggior ragione se la hanno studiata negli ultimi 25 anni.
Proprio l’ignoranza della storia impedisce - agli ucraini come a noi occidentali - di comprendere le ragioni del conflitto che da un anno e mezzo sta insanguinando il Donbass e tutta l’Ucraina.
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Per cominciare, il termine “Ucraina” (Украи́на) e’ una parola composta: у–Краи–на che in russo significa “(terra) di confine a (riferito alla Russia stessa)”. Tale denominazione dunque non ha alcuna origine storica ne’ alcun richiamo ad un Popolo o ad una Nazione, ma ha solo una valenza geografica derivata da un soggetto principale (la Russia) di cui l’Ucraina e’ appunto la provincia al confine sud-occidentale.
Un caso analogo si trova nella lingua tedesca, dove l’Austria e’ indicata come Österreich: Marca (Regno) dell’Est.
Anche in Italia la regione delle Marche deriva il proprio nome dal tedesco antico “mark” ossia “territorio di confine”.
Le terre che oggi lo stato ucraino occupa, fino a circa un secolo fa avevano nomi diversi da quello attuale:
1) La parte centrale dell’odierna Ucraina, compresa la capitale Kiev, si chiamava “Malorossija” (Малороссия) = “Piccola Russia” e i suoi abitanti venivano chiamati “Piccoli Russi” o semplicemente “Russi”
2) La parte meridionale invece si chiamava (e si chiama di nuovo, in seguito alle rivolte scoppiate nel 2014) “Novorossija” (Новороссия) = “Nuova Russia” dove il termine “nuovo” deriva dal fatto che gli Zar della Russia avevano conquistato questi territori nei secoli XVII e XVIII, strappandoli al Canato di Crimea. Si trattava dunque di territori “nuovi” rispetto al resto dell’Impero Russo.
3) La parte occidentale, infine, in tempi relativamente recenti e’ stata a lungo divisa in tante piccole regioni (Galizia e Lodomiria, Volina, Rutenia o Transcarpatia, Bucovina, Podolia) che sono passate di mano in mano tra Impero Russo, Impero Absburgico, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania e infine Unione Sovietica. Il loro nome storico era “Krasnaja Rus” (Красная Русь) = “Russia Rossa”
L’analisi etimologica applicata alle denominazioni geografiche richiama dunque ad una “Piccola Russia”, ad una “Nuova Russia” e ad una “Russia Rossa” e testimonia lo stretto legame che le terre oggi appartenenti all’Ucraina hanno sempre avuto con la Nazione Russa.
Del resto la prima unita’ statale russa che si ricordi, la Rus’ (Русь), si sviluppo’ proprio a Kiev (attuale capitale ucraina) nell’anno 880 e raggiunse il suo apice esattamente un secolo dopo, con l’avvento al potere nel 980 di Vladimiro I (detto poi “Il Santo”, in quanto fu lui a favorire la conversione al Cristianesimo delle genti russe nel 988)
Fin dall’inizio della storia della Nazione russa dunque esisteva una sola unita’ politica, linguistica, etnica e religiosa che comprendeva tutti gli Slavi Orientali, che allora, e fino all’inizio del XX secolo, si chiamavano tutti Russi: sia i russi propriamente detti (abitanti della “Velikorossija” – Великороссия = “Grande Russia”), sia gli ucraini, sia i bielorussi (i quali, infatti, hanno conservato fino ad oggi il nome originale del proprio Paese: “Bielorussia” – Белоруссия o Белару́сь = “Russia Bianca”)
Procedendo con la storia, in modo molto rapido e sintetico, la Rus’ di Kiev, che gia’ a partire dal XI secolo si era disgregata in vari principati in lotta sia tra loro che contro i vicini Khazari, Bulgari del Volga, Polacchi e Ungari e infine contro le popolazioni nomadi dei Pecenighi e dei Cumani (mentre parte della Crimea era ancora governata da Bisanzio) fu definitivamente devastata e conquistata dai Mongoli nel 1240.
La decadenza dei mongoli dell’Orda d’Oro ebbe inizio con la battaglia di Kulikovo, combattuta nella pianura del Don nel 1380 e vinta dai russi di Dmitri Donskoj contro mongoli e tartari, e culmino’ con la piena indipendenza del Granducato di Mosca un secolo dopo.
Successivamente alla fine del dominio mongolo, i territori “ucraini” (sebbene questa denominazione allora fosse ben lungi da venire) si ritrovarono divisi in 3 parti: la parte occidentale sotto la Confederazione Polacco-Lituana, la parte Orientale sotto la Russia (prima Moscovia, dal 1547 Regno Russo e dal 1721 Impero Russo) e la parte meridionale sotto il Canato di Crimea, vassallo dell’Impero Ottomano.
La Russia a poco a poco riconquisto’ tutti i territori meridionali, strappandoli al Canato e agli ottomani: ben 12 furono le guerre russo-turche, a partire dalla Spedizione di Astrakhan del 1568, passando per le Campagne d’Azov di Pietro I il Grande tra il 1686 e il 1700, fino alla Prima Guerra Mondiale, anche se non tutte riguardarono la sistemazione dei territori ucraini, bensi’ anche la definizione dei confini nel Caucaso e il destino dei Principati Danubiani. Contemporaneamente furono riassorbiti anche quasi tutti i territori occidentali, ripresi alla Polonia, con l’eccezione della Galizia che, a seguito delle 3 successive spartizioni della Polonia stessa, entro’ a far parte dell’Impero Absburgico.
Nel 1795, sotto Ekaterina II la Grande e grazie alle vittorie militari di Suvorov, a parte la piccola regione galiziana intorno a Leopoli (che tornera’ russa, anzi sovietica, solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale), tutta la futura Ucraina era rientrata a fare parte dell’Impero Russo e vi sarebbe restata fino al 1991.
Dunque di una Nazione Ucraina separata da quella Russa nessuno aveva mai parlato fino al XX Secolo inoltrato. Infatti, se i territori della futura Ucraina storicamente sono appartenuti principalmente alla Russia (per le porzioni piu’ vaste e per i periodi piu’ lunghi) e poi (per estensioni di territorio minore e/o periodi di tempo piu’ limitati) all’Orda Mongola, all’Impero Ottomano, al Canato di Crimea, alla Confederazione Polacco-Lituana, all’Impero Absburgico (poi Austro-Ungarico), al Regno di Polonia e infine (per regioni marginali e/o periodi assai brevi) a Ungheria (Rutenia), Cecoslovacchia (sempre Rutenia) e Romania (Bucovina), mai, fino al 1991, sono appartenuti ad uno Stato ucraino indipendente, concetto geopolitico che non esisteva neanche nell'immaginazione dei futuri ucraini.
Ne sono testimonianza i censimenti di inizio 1900.
A Kiev (Ucraina Centrale), secondo il censimento del 1917
- Russi erano il 54,7% della popolazione
- Ebrei erano il 19,0% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 12,2% della popolazione
Ad Odessa (Ucraina Meridionale)
- Russi erano il 49,1% della popolazione
- Ebrei erano il 30,8% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 9,4% della popolazione
A Donetsk (allora Juzovka, Ucraina Orientale)
- Russi erano il 79,6% della popolazione
- Ebrei erano il 11,2% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 7,5% della popolazione
In Crimea
- Russi erano il 50,6% della popolazione
- Tartari erano il 19,4% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 13,6% della popolazione
A Leopoli infine (Ucraina Occidentale, ai tempi parte dell’Austria-Ungheria), secondo il censimento del 1900
- Polacchi erano il 49,4% della popolazione
- Ebrei erano il 26,5% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 19,9% della popolazione
Solo un secolo fa, dunque, coloro che si definivano “Piccoli Russi” o “Ucraini” non erano piu’ del 10%-15% di tutta la popolazione dell’odierna Ucraina, ed erano una minoranza non solo rispetto ai Russi (maggioranza della popolazione nell’Ucraina centrale, meridionale ed orientale e in Crimea) e ai Polacchi (maggioranza della popolazione in Galizia), ma persino rispetto agli Ebrei, che erano la prima minoranza etnica in tutte le aree prese in considerazione.
Nei vasti territori della futura Ucraina governati dalla Russia, il sentimento nazionale ucraino fu assente per tutto il XIX secolo (periodo in cui ebbero il loro apice anche i nazionalismi europei piu’ tardivi) e addirittura all’inizio del XX secolo. Tale sentimento nazionale ebbe origine invece nella piccola regione ucraina dell’Impero Austro-Ungarico incorporata ai territori polacchi e si sviluppo’, paradossalmente, come contrapposizione etnico-linguistica dei contadini ucraini nei confronti delle classi dominanti polacche e come aspirazione degli stessi a ricongiungersi con i loro connazionali russo-ucraini di oltre frontiera.
L’Ucraina come la conosciamo oggi e nei confini attuali e’ stata in definitiva una “invenzione” dei sovietici (tanto deprecati oggi ... se gli ucraini studiassero la loro storia dovrebbero ringraziare Lenin, invece di abbattere le sue statue. Senza Lenin e Stalin l’Ucraina non sarebbe mai esistita) che crearono questa divisione amministrativa dell’ U.R.S.S. praticamente dal nulla.
In tempo zarista, infatti, tale divisione amministrativa non sussisteva, e il “Gubernia” di Kiev aveva lo stesso grado di autonomia di tutti gli altri “Gubernia” dell’Impero Russo. Tra l’altro Kiev era capoluogo solo una parte dell’odierna Ucraina, ma anche di zone che oggi appartengono alla Russia, come Brjansk, Kaluga, Kursk e Tula, mentre tutta la moderna Ucraina orientale e meridionale era parte del “Gubernia” di Azov, il cui capoluogo era Voronež, oggi in Russia, a dimostrare ancora una volta il fatto che non esisteva alcuna distinzione tra territori “russi” e territori “ucraini”.
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Sospendendo per un momento la il resoconto storico, e passando ad esaminare lingua e letteratura, anche sotto questo punto di vista ancora oggi, dopo 25 anni di ucrainizzazione forzata, in tutte le principali citta’ dell’Ucraina: Kiev, Odessa, Harkov, Dnepropetrovsk, Donetsk, Zaporož'e, Krivoj Rog, Lugansk, Mariupol (con la sola eccezione, parziale, di Leopoli) la quasi totalita’ della popolazione si esprime esclusivamente in russo, nonostante il fatto che a scuola venga insegnato coercitivamente l’ucraino e che le televisioni trasmettano programmi prevalentemente in ucraino (con infiniti e grotteschi problemi nel selezionare giornalisti e presentatori che lo conoscano in modo accettabile)
E’ infatti da sempre assai dibattuto il fatto se quella ucraina debba essere considerata una lingua vera e propria: molti studiosi di linguistica preferiscono definirla un dialetto galiziano-ruteno. Questo dialetto risulta assai difficile da pronunciare correttamente da parte degli abitanti delle regioni diverse da quella dove e’ diffuso (immaginate se in Italia fosse imposto a tutti di parlare il dialetto veneziano invece dell’italiano ... ) tanto che, anche coloro che si sforzano di parlare ucraino, alla fine si ritrovano ad esprimersi in Suržik, una specie di linguaggio misto, che combina vocaboli e regole grammaticali russe e ucraine.
Non a caso i piu’ grandi scrittori e poeti “ucraini” (o meglio, nati in quel territorio che sarebbe poi diventato ucraino) da Gogol a Bulgakov, hanno usato la lingua russa per diffondere la propria opera. Lo stesso Čechov nacque in una cittadina che oggi si trova sul confine tra le odierne Russia e Ucraina. Addirittura, nacque in territorio ucraino persino l’autore di uno dei primi e piu’ importanti e completi dizionari della lingua russa: Vladimir Ivanovič Dal'.
Anche nelle opere letterarie piu’ recenti non si trova traccia alcuna di una Nazione Ucraina. Chi voglia leggere il bellissimo (parere personale) “I cani e i lupi”, di Irène Némirovsky, scrittrice ebrea ucraina emigrata a Parigi ed eliminata dai nazisti nel 1942, trovera’ una storia ambientata in un Paese chiamato “Russia”, dove vivono russi (e anche ebrei, polacchi, tedeschi, baltici, tartari, caucasici ... ma nessun ucraino) e dove la gente comunica in lingua russa, al massimo mescolandola ogni tanto a un po’ di yiddish. Di una fantomatica lingua ucraina in tutto il romanzo non c’e’ menzione.
Ora, poiche’ questo romanzo e’ stato pubblicato nel 1940, dobbiamo dedurre che oggi in Ucraina sono ancora in vita uomini e donne che, quando sono nati, non sapevano di essere ucraini...
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Tornando alla storia, e a seguito di tutto quanto e’ stato scritto fino ad ora, possiamo affermare che la storia dell’Ucraina e’ cominciata solo nel 1991, con l’indipendenza dall’Unione Sovietica, ed e’ cominciata anche in questo caso in modo assai controverso.
Nel Marzo del 1991, con l’Unione Sovietica in piena disgregazione, si tenne un referendum (in solo 9 delle 15 ex Repubbliche Sovietiche, poiche’ Estonia, Lettonia, Lituania, Armenia, Georgia e Moldavia erano gia’ indipendenti de facto) per la conservazione o meno dei resti dell’U.R.S.S. Gli ucraini (a differenza dei loro ex compatrioti baltici, armeni, georgiani e moldavi che avevano scelto la secessione) votarono in massa per la conservazione dell’U.R.S.S. e per il mantenimento dei legami con la madrepatria russa. Con un’affluenza alle urne dell’83,5% degli elettori, il 71,5% si espresse a favore dell’U.R.S.S., e solo il 28,5% contro. In solo 3 delle 25 regioni ucraine (sempre quelle della Galizia, con capoluogo Leopoli) la maggioranza della popolazione si pronuncio’ a favore dell’indipendenza.
Pochi mesi dopo l’U.R.S.S. si dissolse definitivamente in seguito al colpo di stato di Eltsin che, appoggiato dai servizi segreti occidentali, prese illegalmente il potere a Mosca e di fatto dichiaro’ indipendente la Russia dall’U.R.S.S. (praticamente la dichiaro’ indipendente da ... se stessa ... un po’ come se l’Inghilterra si dichiarasse indipendente dal Regno Unito, di cui e’ la parte principale ...) e cosi’ le altre repubbliche, Ucraina compresa, si trovarono separate da Mosca contro la volonta’ dei propri cittadini che avrebbero preferito restare a far parte della Nazione Russa.
La neonata Ucraina cadde allora - siamo negli anni Novanta - nelle mani della cricca di oligarchi filo-occidentali di Kravčuk (proprio come la Russia era caduta nelle mani della cricca di oligarchi filo-occidentali di Eltsin, che la avevano depredata e avevano ridotto il Paese allo sfascio e la popolazione alla fame) i quali, basandosi sull’elemento galiziano, fortemente nazionalista, anche se largamente minoritario nel Paese, iniziarono una politica di ucrainizzazione forzata tendente a prevenire l’aspirazione della popolazione di ricongiungersi alla Russia (che comunque a quei tempi era messa altrettanto male, quindi non piu’ attraente come un tempo)
Fino al 2014 comunque ogni tentativo di staccare definitivamente l’Ucraina dall’orbita russa (con Kravčuk stesso, persino con il piu’ moderato e centrista Kučma, e poi in modo sempre piu’ violento con Juščenko e la Tymošenko) ando’ sempre frustrato e si scontro’, specialmente nelle regioni meridionali e orientali del Paese, contro l’opposizione della maggioranza della popolazione, che si sentiva e si sente molto piu’ russa che ucraina (quando io avevo iniziato a viaggiare in Ucraina negli anni Novanta era abbastanza tipico sentire cittadini ucraini che dicevano “noi russi...”, “io, come russo...”, come tuttora avviene ad esempio in Bielorussia.)
Nel 2014 - e ormai questa e’ cronaca dei giorni nostri - e’ avvenuto il colpo di stato di Maidan in cui una minoranza di facinorosi finanziati e armati dagli USA e dalla UE, con un moto violento di piazza, hanno deposto il Presidente Janukovič, regolarmente eletto dal popolo, per sostituirlo con una giunta golpista. Il nuovo governo illegittimo ha immediatamente iniziato una sanguinosa guerra fratricida nel sud-est del Paese, con bombardamenti indiscriminati sui civili, finalizzati ad una vera e propria pulizia etnica (gia’ 2 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case) tendente ad alterare la composizione della popolazione per diminuire l’elemento russofono a favore di quello nazionalista ucraino.
Peccato che, all’esplosione di questo conflitto, i giornali e le televisioni occidentali abbiano faziosamente parlato di una immaginaria “invasione russa dell’Ucraina”. I russi in Ucraina vivono da piu’ di mille anni. Un’invasione effettivamente c’e’ stata, ma da parte della giunta golpista di Kiev, che ha mandato i propri aerei a bombardare le case, le scuole e gli ospedali della popolazione russo-ucraina delle regioni orientali e meridionali del Paese, e che ha arruolato nelle regioni occidentali squadracce paramilitari (di ideologia e simbologia apertamente neo-nazista) per inviarle ad occupare le citta’ che non avevano riconosciuto un governo nato da un colpo di stato.
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Per concludere questa analisi, se da un punto di vista storico e linguistico avrebbe forse avuto senso, ed eventualmente avrebbe senso tuttora, la creazione di uno stato galiziano indipendente (che comunque, limitato alle 3 provincie di Leopoli, Ivano-Frankovsk, e Ternopol, avrebbe un’estensione territoriale e una popolazione molto inferiori a quelle della Bielorussia e paragonabili a quelle della vicina Slovacchia), non trova nessuna giustificazione storica l’esistenza di un’Ucraina entro i confini attuali e separata dalla Russia.
Il colpo di stato di Maidan e la susseguente guerra civile in definitiva hanno segnato la fine della brevissima storia dello stato ucraino come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Uno stato durato meno di un quarto di secolo e ormai in rapida dissoluzione. La Crimea e il Donbass si sono gia’ separati. Tutto il resto della Novorossija, da Odessa ad Harkov, aspetta solo l’occasione propizia per fare lo stesso, magari con il minimo spargimento di sangue.
Allo stesso modo la Transcarpatia, abitata prevalentemente da ungheresi e ruteni, la Bucovina, a maggioranza rumena, e il Budzhak, dove convivono bulgari, russi, moldavi e gagauzi, sopportano sempre piu’ malvolentieri l’idea di continuare a far parte di uno stato guidato dai nazionalisti ucraini piu’ estremisti e di riconoscere in Stepan Bandera, collaborazionista di Hitler e carnefice del suo popolo, un eroe nazionale (proclamato ufficialmente tale dal nuovo governo, un po’ come se la Norvegia innalzasse ad eroe nazionale Quisling)
E’ infine assai dubbia la possibile futura convivenza delle rimanenti regioni centrali collocate geograficamente intorno a Kiev con quelle occidentali, piu’ vicine a Leopoli.

L’Ucraina, stato Frankenstein, nato praticamente per caso, presto cesserà’ di esistere e la parte principale dei suoi territori tornerà’ a far parte della Russia, come é sempre stato nella storia.

ARMANDO COSSUTTA: parte di una intervista del 2009, dopo tre anni dall'addio alla politica attiva.

 Dunque, non più comunista? Al contrario,  “Ero, sono e resterò un comunista”. Con un rimpianto, però. Un grande rimpianto. Questo: “In Italia”, diceva, “ci sono milioni di comunisti che non si sentono più rappresentati. C’è da spararsi con questa povera sinistra”. E già, perché nonostante il voto elargito al Pd, lui in fondo sempre lo stesso è rimasto: “E di che dovrei pentirmi? Sono stato tra i costruttori di un grande partito. Certo, noi siamo poca cosa in confronto ai fondatori, alla generazione di Palmiro Togliatti. Festeggio i miei 80 anni, però a 19 mi sono ritrovato segretario a Sesto San Giovanni dove il Pci aveva 18 mila iscritti in una concentrazione operaia enorme” La mitica Sesto, con le grandi fabbriche: Falck, Breda, Pirelli, Marelli. Altri tempi. E altra stoffa quella dei dirigenti che guidavano la crescita del partito in ogni angolo della penisola. Cossutta ne fa i nomi: “Napolitano a Napoli, Macaluso a Palermo, Reichlin a Roma,  Pecchioli  a Torino, Fanti a Bologna”. E lui, modestamente, a Milano. Un grande lavoro, una vita spesa a coltivare la passione rossa, l’ideale comunista.
MAI PENTIRSI Il tema del pentimento, appena accennato sopra, ecco una ferita sanguinante nella storia del Pci, soprattutto rispetto ad alcuni passaggi drammatici della storia italiana e non solo. Ma guai ad insistere con Cossutta. Critico e senza veli anche di fronte alle ammissioni di un leader di Botteghe oscure del calibro di Pietro Ingrao: “Non mi piace questo cospargersi il capo di cenere, crocifiggersi, fustigare quelli che, con il senno di poi, Pietro ritiene i propri errori e che finiscono per sembrare anche errori del Pci. Il pentitismo”, sentenziava l’Armando, “non è mai stato la mia vocazione, non capisco chi avverte il bisogno di pentirsi di tutto per rimettere tutto in discussione”.
ORGOGLIO COMUNISTA Pentirsi, poi, ma di cosa? Per la cacciata dei compagni del Manifesto, accusati nel 1968 di movimentismo e di eccessive simpatie verso la contestazione 
giovanile? “Ma con le regole del partito la radiazione era inevitabile”, sentenziava Cossutta. Per l’invasione dell’Ungheria nel 1956? “Certo, fu una tragedia e fu una sofferenza per molti, ma Togliatti non avrebbe potuto prendere una posizione diversa. C’era la Cortina di ferro e questa espressione non l’abbiamo coniata noi comunisti, ma Churchill. C’era l’equilibrio del terrore, bastava un nulla per innescare un disastro”. E comunque: “Allora ero giovane e da dirigente milanese condivisi la linea del partito. A sbagliare furono per primi i comunisti ungheresi”. Proprio così. Per non parlare di Fidel Castro. La sua dittatura? “Auspico che il castrismo evolva in un sistema  pienamente democratico”, spiegava. “Ma non dimentico che lo stesso Castro ha fatto cose grandiose in condizioni drammatiche, come i 40 anni di embargo. Nel 1973 passai un’intera notte con lui, gli portai in dono la bandiera della Brigata Garibaldi dell’Oltrepò, quella che catturò Mussolini. Fidel rimase ore a farmi domande”.
SCELTE GIUSTE Testa alta, dunque, con qualche ammissione, ma sempre fiero per carità della propria militanza e della propria appartenenza. Certo, “errori ne ho fatti anch’io”, ammetteva infine il compagno Armando. “Ne ho molti da rimproverarmi, sono pronto a prendere anch’io il flagello, la cenere, il cilicio, però se ripenso alle grandi scelte ai miei occhi appaiono ancora oggi giuste“. E via con le orgogliose rivendicazioni: “Ho combattuto il fascismo, ho determinato la sopravvivenza di una forza comunista dopo la fine del Pci, ho scontato una scissione per salvare il primo governo di sinistra nella storia d’Italia. E se dopo la caduta di Prodi fossimo andati alle urne, il mio partito sarebbe decollato e quello di Bertinotti sarebbe quasi scomparso. Però, avrebbe vinto la destra e al Quirinale sarebbe salito Berlusconi. Da qui il mio sacrificio”. Come sempre, va da sé, “nell’interesse del Paese”.