E' ILLUMINANTE LEGGERE QUESTO ARTICOLO DI CESARE CORDA.

UCRAINA: IL PAESE IN GUERRA CON LA PROPRIA STORIA
di Cesare Corda
Viaggiando regolarmente da ormai 22 anni nell’ex Unione Sovietica ho constatato, tra le tante altre cose, che la stragrande maggioranza degli ucraini non conosce la storia del proprio Paese. Questo dato non dovrebbe sembrare cosi’ anomalo: anche la maggioranza degli italiani e dei russi (e di ogni altro popolo) non conosce a sufficienza la storia del proprio Paese. Nel caso degli ucraini pero’ va sottolineato un aspetto singolare: a misconoscere la propria storia non sono solo quelli che la hanno studiata di meno, ma soprattutto quelli che la hanno studiata di piu’. A maggior ragione se la hanno studiata negli ultimi 25 anni.
Proprio l’ignoranza della storia impedisce - agli ucraini come a noi occidentali - di comprendere le ragioni del conflitto che da un anno e mezzo sta insanguinando il Donbass e tutta l’Ucraina.
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Per cominciare, il termine “Ucraina” (Украи́на) e’ una parola composta: у–Краи–на che in russo significa “(terra) di confine a (riferito alla Russia stessa)”. Tale denominazione dunque non ha alcuna origine storica ne’ alcun richiamo ad un Popolo o ad una Nazione, ma ha solo una valenza geografica derivata da un soggetto principale (la Russia) di cui l’Ucraina e’ appunto la provincia al confine sud-occidentale.
Un caso analogo si trova nella lingua tedesca, dove l’Austria e’ indicata come Österreich: Marca (Regno) dell’Est.
Anche in Italia la regione delle Marche deriva il proprio nome dal tedesco antico “mark” ossia “territorio di confine”.
Le terre che oggi lo stato ucraino occupa, fino a circa un secolo fa avevano nomi diversi da quello attuale:
1) La parte centrale dell’odierna Ucraina, compresa la capitale Kiev, si chiamava “Malorossija” (Малороссия) = “Piccola Russia” e i suoi abitanti venivano chiamati “Piccoli Russi” o semplicemente “Russi”
2) La parte meridionale invece si chiamava (e si chiama di nuovo, in seguito alle rivolte scoppiate nel 2014) “Novorossija” (Новороссия) = “Nuova Russia” dove il termine “nuovo” deriva dal fatto che gli Zar della Russia avevano conquistato questi territori nei secoli XVII e XVIII, strappandoli al Canato di Crimea. Si trattava dunque di territori “nuovi” rispetto al resto dell’Impero Russo.
3) La parte occidentale, infine, in tempi relativamente recenti e’ stata a lungo divisa in tante piccole regioni (Galizia e Lodomiria, Volina, Rutenia o Transcarpatia, Bucovina, Podolia) che sono passate di mano in mano tra Impero Russo, Impero Absburgico, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania e infine Unione Sovietica. Il loro nome storico era “Krasnaja Rus” (Красная Русь) = “Russia Rossa”
L’analisi etimologica applicata alle denominazioni geografiche richiama dunque ad una “Piccola Russia”, ad una “Nuova Russia” e ad una “Russia Rossa” e testimonia lo stretto legame che le terre oggi appartenenti all’Ucraina hanno sempre avuto con la Nazione Russa.
Del resto la prima unita’ statale russa che si ricordi, la Rus’ (Русь), si sviluppo’ proprio a Kiev (attuale capitale ucraina) nell’anno 880 e raggiunse il suo apice esattamente un secolo dopo, con l’avvento al potere nel 980 di Vladimiro I (detto poi “Il Santo”, in quanto fu lui a favorire la conversione al Cristianesimo delle genti russe nel 988)
Fin dall’inizio della storia della Nazione russa dunque esisteva una sola unita’ politica, linguistica, etnica e religiosa che comprendeva tutti gli Slavi Orientali, che allora, e fino all’inizio del XX secolo, si chiamavano tutti Russi: sia i russi propriamente detti (abitanti della “Velikorossija” – Великороссия = “Grande Russia”), sia gli ucraini, sia i bielorussi (i quali, infatti, hanno conservato fino ad oggi il nome originale del proprio Paese: “Bielorussia” – Белоруссия o Белару́сь = “Russia Bianca”)
Procedendo con la storia, in modo molto rapido e sintetico, la Rus’ di Kiev, che gia’ a partire dal XI secolo si era disgregata in vari principati in lotta sia tra loro che contro i vicini Khazari, Bulgari del Volga, Polacchi e Ungari e infine contro le popolazioni nomadi dei Pecenighi e dei Cumani (mentre parte della Crimea era ancora governata da Bisanzio) fu definitivamente devastata e conquistata dai Mongoli nel 1240.
La decadenza dei mongoli dell’Orda d’Oro ebbe inizio con la battaglia di Kulikovo, combattuta nella pianura del Don nel 1380 e vinta dai russi di Dmitri Donskoj contro mongoli e tartari, e culmino’ con la piena indipendenza del Granducato di Mosca un secolo dopo.
Successivamente alla fine del dominio mongolo, i territori “ucraini” (sebbene questa denominazione allora fosse ben lungi da venire) si ritrovarono divisi in 3 parti: la parte occidentale sotto la Confederazione Polacco-Lituana, la parte Orientale sotto la Russia (prima Moscovia, dal 1547 Regno Russo e dal 1721 Impero Russo) e la parte meridionale sotto il Canato di Crimea, vassallo dell’Impero Ottomano.
La Russia a poco a poco riconquisto’ tutti i territori meridionali, strappandoli al Canato e agli ottomani: ben 12 furono le guerre russo-turche, a partire dalla Spedizione di Astrakhan del 1568, passando per le Campagne d’Azov di Pietro I il Grande tra il 1686 e il 1700, fino alla Prima Guerra Mondiale, anche se non tutte riguardarono la sistemazione dei territori ucraini, bensi’ anche la definizione dei confini nel Caucaso e il destino dei Principati Danubiani. Contemporaneamente furono riassorbiti anche quasi tutti i territori occidentali, ripresi alla Polonia, con l’eccezione della Galizia che, a seguito delle 3 successive spartizioni della Polonia stessa, entro’ a far parte dell’Impero Absburgico.
Nel 1795, sotto Ekaterina II la Grande e grazie alle vittorie militari di Suvorov, a parte la piccola regione galiziana intorno a Leopoli (che tornera’ russa, anzi sovietica, solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale), tutta la futura Ucraina era rientrata a fare parte dell’Impero Russo e vi sarebbe restata fino al 1991.
Dunque di una Nazione Ucraina separata da quella Russa nessuno aveva mai parlato fino al XX Secolo inoltrato. Infatti, se i territori della futura Ucraina storicamente sono appartenuti principalmente alla Russia (per le porzioni piu’ vaste e per i periodi piu’ lunghi) e poi (per estensioni di territorio minore e/o periodi di tempo piu’ limitati) all’Orda Mongola, all’Impero Ottomano, al Canato di Crimea, alla Confederazione Polacco-Lituana, all’Impero Absburgico (poi Austro-Ungarico), al Regno di Polonia e infine (per regioni marginali e/o periodi assai brevi) a Ungheria (Rutenia), Cecoslovacchia (sempre Rutenia) e Romania (Bucovina), mai, fino al 1991, sono appartenuti ad uno Stato ucraino indipendente, concetto geopolitico che non esisteva neanche nell'immaginazione dei futuri ucraini.
Ne sono testimonianza i censimenti di inizio 1900.
A Kiev (Ucraina Centrale), secondo il censimento del 1917
- Russi erano il 54,7% della popolazione
- Ebrei erano il 19,0% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 12,2% della popolazione
Ad Odessa (Ucraina Meridionale)
- Russi erano il 49,1% della popolazione
- Ebrei erano il 30,8% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 9,4% della popolazione
A Donetsk (allora Juzovka, Ucraina Orientale)
- Russi erano il 79,6% della popolazione
- Ebrei erano il 11,2% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 7,5% della popolazione
In Crimea
- Russi erano il 50,6% della popolazione
- Tartari erano il 19,4% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 13,6% della popolazione
A Leopoli infine (Ucraina Occidentale, ai tempi parte dell’Austria-Ungheria), secondo il censimento del 1900
- Polacchi erano il 49,4% della popolazione
- Ebrei erano il 26,5% della popolazione
- Piccoli Russi o Ucraini erano il 19,9% della popolazione
Solo un secolo fa, dunque, coloro che si definivano “Piccoli Russi” o “Ucraini” non erano piu’ del 10%-15% di tutta la popolazione dell’odierna Ucraina, ed erano una minoranza non solo rispetto ai Russi (maggioranza della popolazione nell’Ucraina centrale, meridionale ed orientale e in Crimea) e ai Polacchi (maggioranza della popolazione in Galizia), ma persino rispetto agli Ebrei, che erano la prima minoranza etnica in tutte le aree prese in considerazione.
Nei vasti territori della futura Ucraina governati dalla Russia, il sentimento nazionale ucraino fu assente per tutto il XIX secolo (periodo in cui ebbero il loro apice anche i nazionalismi europei piu’ tardivi) e addirittura all’inizio del XX secolo. Tale sentimento nazionale ebbe origine invece nella piccola regione ucraina dell’Impero Austro-Ungarico incorporata ai territori polacchi e si sviluppo’, paradossalmente, come contrapposizione etnico-linguistica dei contadini ucraini nei confronti delle classi dominanti polacche e come aspirazione degli stessi a ricongiungersi con i loro connazionali russo-ucraini di oltre frontiera.
L’Ucraina come la conosciamo oggi e nei confini attuali e’ stata in definitiva una “invenzione” dei sovietici (tanto deprecati oggi ... se gli ucraini studiassero la loro storia dovrebbero ringraziare Lenin, invece di abbattere le sue statue. Senza Lenin e Stalin l’Ucraina non sarebbe mai esistita) che crearono questa divisione amministrativa dell’ U.R.S.S. praticamente dal nulla.
In tempo zarista, infatti, tale divisione amministrativa non sussisteva, e il “Gubernia” di Kiev aveva lo stesso grado di autonomia di tutti gli altri “Gubernia” dell’Impero Russo. Tra l’altro Kiev era capoluogo solo una parte dell’odierna Ucraina, ma anche di zone che oggi appartengono alla Russia, come Brjansk, Kaluga, Kursk e Tula, mentre tutta la moderna Ucraina orientale e meridionale era parte del “Gubernia” di Azov, il cui capoluogo era Voronež, oggi in Russia, a dimostrare ancora una volta il fatto che non esisteva alcuna distinzione tra territori “russi” e territori “ucraini”.
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Sospendendo per un momento la il resoconto storico, e passando ad esaminare lingua e letteratura, anche sotto questo punto di vista ancora oggi, dopo 25 anni di ucrainizzazione forzata, in tutte le principali citta’ dell’Ucraina: Kiev, Odessa, Harkov, Dnepropetrovsk, Donetsk, Zaporož'e, Krivoj Rog, Lugansk, Mariupol (con la sola eccezione, parziale, di Leopoli) la quasi totalita’ della popolazione si esprime esclusivamente in russo, nonostante il fatto che a scuola venga insegnato coercitivamente l’ucraino e che le televisioni trasmettano programmi prevalentemente in ucraino (con infiniti e grotteschi problemi nel selezionare giornalisti e presentatori che lo conoscano in modo accettabile)
E’ infatti da sempre assai dibattuto il fatto se quella ucraina debba essere considerata una lingua vera e propria: molti studiosi di linguistica preferiscono definirla un dialetto galiziano-ruteno. Questo dialetto risulta assai difficile da pronunciare correttamente da parte degli abitanti delle regioni diverse da quella dove e’ diffuso (immaginate se in Italia fosse imposto a tutti di parlare il dialetto veneziano invece dell’italiano ... ) tanto che, anche coloro che si sforzano di parlare ucraino, alla fine si ritrovano ad esprimersi in Suržik, una specie di linguaggio misto, che combina vocaboli e regole grammaticali russe e ucraine.
Non a caso i piu’ grandi scrittori e poeti “ucraini” (o meglio, nati in quel territorio che sarebbe poi diventato ucraino) da Gogol a Bulgakov, hanno usato la lingua russa per diffondere la propria opera. Lo stesso Čechov nacque in una cittadina che oggi si trova sul confine tra le odierne Russia e Ucraina. Addirittura, nacque in territorio ucraino persino l’autore di uno dei primi e piu’ importanti e completi dizionari della lingua russa: Vladimir Ivanovič Dal'.
Anche nelle opere letterarie piu’ recenti non si trova traccia alcuna di una Nazione Ucraina. Chi voglia leggere il bellissimo (parere personale) “I cani e i lupi”, di Irène Némirovsky, scrittrice ebrea ucraina emigrata a Parigi ed eliminata dai nazisti nel 1942, trovera’ una storia ambientata in un Paese chiamato “Russia”, dove vivono russi (e anche ebrei, polacchi, tedeschi, baltici, tartari, caucasici ... ma nessun ucraino) e dove la gente comunica in lingua russa, al massimo mescolandola ogni tanto a un po’ di yiddish. Di una fantomatica lingua ucraina in tutto il romanzo non c’e’ menzione.
Ora, poiche’ questo romanzo e’ stato pubblicato nel 1940, dobbiamo dedurre che oggi in Ucraina sono ancora in vita uomini e donne che, quando sono nati, non sapevano di essere ucraini...
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Tornando alla storia, e a seguito di tutto quanto e’ stato scritto fino ad ora, possiamo affermare che la storia dell’Ucraina e’ cominciata solo nel 1991, con l’indipendenza dall’Unione Sovietica, ed e’ cominciata anche in questo caso in modo assai controverso.
Nel Marzo del 1991, con l’Unione Sovietica in piena disgregazione, si tenne un referendum (in solo 9 delle 15 ex Repubbliche Sovietiche, poiche’ Estonia, Lettonia, Lituania, Armenia, Georgia e Moldavia erano gia’ indipendenti de facto) per la conservazione o meno dei resti dell’U.R.S.S. Gli ucraini (a differenza dei loro ex compatrioti baltici, armeni, georgiani e moldavi che avevano scelto la secessione) votarono in massa per la conservazione dell’U.R.S.S. e per il mantenimento dei legami con la madrepatria russa. Con un’affluenza alle urne dell’83,5% degli elettori, il 71,5% si espresse a favore dell’U.R.S.S., e solo il 28,5% contro. In solo 3 delle 25 regioni ucraine (sempre quelle della Galizia, con capoluogo Leopoli) la maggioranza della popolazione si pronuncio’ a favore dell’indipendenza.
Pochi mesi dopo l’U.R.S.S. si dissolse definitivamente in seguito al colpo di stato di Eltsin che, appoggiato dai servizi segreti occidentali, prese illegalmente il potere a Mosca e di fatto dichiaro’ indipendente la Russia dall’U.R.S.S. (praticamente la dichiaro’ indipendente da ... se stessa ... un po’ come se l’Inghilterra si dichiarasse indipendente dal Regno Unito, di cui e’ la parte principale ...) e cosi’ le altre repubbliche, Ucraina compresa, si trovarono separate da Mosca contro la volonta’ dei propri cittadini che avrebbero preferito restare a far parte della Nazione Russa.
La neonata Ucraina cadde allora - siamo negli anni Novanta - nelle mani della cricca di oligarchi filo-occidentali di Kravčuk (proprio come la Russia era caduta nelle mani della cricca di oligarchi filo-occidentali di Eltsin, che la avevano depredata e avevano ridotto il Paese allo sfascio e la popolazione alla fame) i quali, basandosi sull’elemento galiziano, fortemente nazionalista, anche se largamente minoritario nel Paese, iniziarono una politica di ucrainizzazione forzata tendente a prevenire l’aspirazione della popolazione di ricongiungersi alla Russia (che comunque a quei tempi era messa altrettanto male, quindi non piu’ attraente come un tempo)
Fino al 2014 comunque ogni tentativo di staccare definitivamente l’Ucraina dall’orbita russa (con Kravčuk stesso, persino con il piu’ moderato e centrista Kučma, e poi in modo sempre piu’ violento con Juščenko e la Tymošenko) ando’ sempre frustrato e si scontro’, specialmente nelle regioni meridionali e orientali del Paese, contro l’opposizione della maggioranza della popolazione, che si sentiva e si sente molto piu’ russa che ucraina (quando io avevo iniziato a viaggiare in Ucraina negli anni Novanta era abbastanza tipico sentire cittadini ucraini che dicevano “noi russi...”, “io, come russo...”, come tuttora avviene ad esempio in Bielorussia.)
Nel 2014 - e ormai questa e’ cronaca dei giorni nostri - e’ avvenuto il colpo di stato di Maidan in cui una minoranza di facinorosi finanziati e armati dagli USA e dalla UE, con un moto violento di piazza, hanno deposto il Presidente Janukovič, regolarmente eletto dal popolo, per sostituirlo con una giunta golpista. Il nuovo governo illegittimo ha immediatamente iniziato una sanguinosa guerra fratricida nel sud-est del Paese, con bombardamenti indiscriminati sui civili, finalizzati ad una vera e propria pulizia etnica (gia’ 2 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case) tendente ad alterare la composizione della popolazione per diminuire l’elemento russofono a favore di quello nazionalista ucraino.
Peccato che, all’esplosione di questo conflitto, i giornali e le televisioni occidentali abbiano faziosamente parlato di una immaginaria “invasione russa dell’Ucraina”. I russi in Ucraina vivono da piu’ di mille anni. Un’invasione effettivamente c’e’ stata, ma da parte della giunta golpista di Kiev, che ha mandato i propri aerei a bombardare le case, le scuole e gli ospedali della popolazione russo-ucraina delle regioni orientali e meridionali del Paese, e che ha arruolato nelle regioni occidentali squadracce paramilitari (di ideologia e simbologia apertamente neo-nazista) per inviarle ad occupare le citta’ che non avevano riconosciuto un governo nato da un colpo di stato.
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Per concludere questa analisi, se da un punto di vista storico e linguistico avrebbe forse avuto senso, ed eventualmente avrebbe senso tuttora, la creazione di uno stato galiziano indipendente (che comunque, limitato alle 3 provincie di Leopoli, Ivano-Frankovsk, e Ternopol, avrebbe un’estensione territoriale e una popolazione molto inferiori a quelle della Bielorussia e paragonabili a quelle della vicina Slovacchia), non trova nessuna giustificazione storica l’esistenza di un’Ucraina entro i confini attuali e separata dalla Russia.
Il colpo di stato di Maidan e la susseguente guerra civile in definitiva hanno segnato la fine della brevissima storia dello stato ucraino come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Uno stato durato meno di un quarto di secolo e ormai in rapida dissoluzione. La Crimea e il Donbass si sono gia’ separati. Tutto il resto della Novorossija, da Odessa ad Harkov, aspetta solo l’occasione propizia per fare lo stesso, magari con il minimo spargimento di sangue.
Allo stesso modo la Transcarpatia, abitata prevalentemente da ungheresi e ruteni, la Bucovina, a maggioranza rumena, e il Budzhak, dove convivono bulgari, russi, moldavi e gagauzi, sopportano sempre piu’ malvolentieri l’idea di continuare a far parte di uno stato guidato dai nazionalisti ucraini piu’ estremisti e di riconoscere in Stepan Bandera, collaborazionista di Hitler e carnefice del suo popolo, un eroe nazionale (proclamato ufficialmente tale dal nuovo governo, un po’ come se la Norvegia innalzasse ad eroe nazionale Quisling)
E’ infine assai dubbia la possibile futura convivenza delle rimanenti regioni centrali collocate geograficamente intorno a Kiev con quelle occidentali, piu’ vicine a Leopoli.

L’Ucraina, stato Frankenstein, nato praticamente per caso, presto cesserà’ di esistere e la parte principale dei suoi territori tornerà’ a far parte della Russia, come é sempre stato nella storia.

ARMANDO COSSUTTA: parte di una intervista del 2009, dopo tre anni dall'addio alla politica attiva.

 Dunque, non più comunista? Al contrario,  “Ero, sono e resterò un comunista”. Con un rimpianto, però. Un grande rimpianto. Questo: “In Italia”, diceva, “ci sono milioni di comunisti che non si sentono più rappresentati. C’è da spararsi con questa povera sinistra”. E già, perché nonostante il voto elargito al Pd, lui in fondo sempre lo stesso è rimasto: “E di che dovrei pentirmi? Sono stato tra i costruttori di un grande partito. Certo, noi siamo poca cosa in confronto ai fondatori, alla generazione di Palmiro Togliatti. Festeggio i miei 80 anni, però a 19 mi sono ritrovato segretario a Sesto San Giovanni dove il Pci aveva 18 mila iscritti in una concentrazione operaia enorme” La mitica Sesto, con le grandi fabbriche: Falck, Breda, Pirelli, Marelli. Altri tempi. E altra stoffa quella dei dirigenti che guidavano la crescita del partito in ogni angolo della penisola. Cossutta ne fa i nomi: “Napolitano a Napoli, Macaluso a Palermo, Reichlin a Roma,  Pecchioli  a Torino, Fanti a Bologna”. E lui, modestamente, a Milano. Un grande lavoro, una vita spesa a coltivare la passione rossa, l’ideale comunista.
MAI PENTIRSI Il tema del pentimento, appena accennato sopra, ecco una ferita sanguinante nella storia del Pci, soprattutto rispetto ad alcuni passaggi drammatici della storia italiana e non solo. Ma guai ad insistere con Cossutta. Critico e senza veli anche di fronte alle ammissioni di un leader di Botteghe oscure del calibro di Pietro Ingrao: “Non mi piace questo cospargersi il capo di cenere, crocifiggersi, fustigare quelli che, con il senno di poi, Pietro ritiene i propri errori e che finiscono per sembrare anche errori del Pci. Il pentitismo”, sentenziava l’Armando, “non è mai stato la mia vocazione, non capisco chi avverte il bisogno di pentirsi di tutto per rimettere tutto in discussione”.
ORGOGLIO COMUNISTA Pentirsi, poi, ma di cosa? Per la cacciata dei compagni del Manifesto, accusati nel 1968 di movimentismo e di eccessive simpatie verso la contestazione 
giovanile? “Ma con le regole del partito la radiazione era inevitabile”, sentenziava Cossutta. Per l’invasione dell’Ungheria nel 1956? “Certo, fu una tragedia e fu una sofferenza per molti, ma Togliatti non avrebbe potuto prendere una posizione diversa. C’era la Cortina di ferro e questa espressione non l’abbiamo coniata noi comunisti, ma Churchill. C’era l’equilibrio del terrore, bastava un nulla per innescare un disastro”. E comunque: “Allora ero giovane e da dirigente milanese condivisi la linea del partito. A sbagliare furono per primi i comunisti ungheresi”. Proprio così. Per non parlare di Fidel Castro. La sua dittatura? “Auspico che il castrismo evolva in un sistema  pienamente democratico”, spiegava. “Ma non dimentico che lo stesso Castro ha fatto cose grandiose in condizioni drammatiche, come i 40 anni di embargo. Nel 1973 passai un’intera notte con lui, gli portai in dono la bandiera della Brigata Garibaldi dell’Oltrepò, quella che catturò Mussolini. Fidel rimase ore a farmi domande”.
SCELTE GIUSTE Testa alta, dunque, con qualche ammissione, ma sempre fiero per carità della propria militanza e della propria appartenenza. Certo, “errori ne ho fatti anch’io”, ammetteva infine il compagno Armando. “Ne ho molti da rimproverarmi, sono pronto a prendere anch’io il flagello, la cenere, il cilicio, però se ripenso alle grandi scelte ai miei occhi appaiono ancora oggi giuste“. E via con le orgogliose rivendicazioni: “Ho combattuto il fascismo, ho determinato la sopravvivenza di una forza comunista dopo la fine del Pci, ho scontato una scissione per salvare il primo governo di sinistra nella storia d’Italia. E se dopo la caduta di Prodi fossimo andati alle urne, il mio partito sarebbe decollato e quello di Bertinotti sarebbe quasi scomparso. Però, avrebbe vinto la destra e al Quirinale sarebbe salito Berlusconi. Da qui il mio sacrificio”. Come sempre, va da sé, “nell’interesse del Paese”.


Rinascita Terracina: CINA : VERITÀ SULLA STRAGE DI NANCHINO

Rinascita Terracina: CINA : VERITÀ SULLA STRAGE DI NANCHINO: CINA: Verità sulla strage di Nanchino Solerti funzionari in guanti bianchi prelevano da una cassaforte quaderni ingialliti, rilegati  e...

CINA : VERITÀ SULLA STRAGE DI NANCHINO

CINA: Verità sulla strage di Nanchino

Solerti funzionari in guanti bianchi prelevano da una cassaforte quaderni ingialliti, rilegati  e li mostrano, nel silenzio generale, al gruppo di giornalisti stranieri seduto ai tavoli disposti a ferro di cavallo. 
È uno strappo alla burocrazia, questa volta, almeno, la testimonianza dei media è più che opportuna ma la tensione è palpabile davanti alle cicatrici della storia: ecco gli archivi di Nanchino, nati nel 1951, 329 volumi, oltre 340 mila files, la prova regina dello "stupro" subito nel 1937 dall'allora capitale cinese per mano degli invasori giapponesi.
Pagine fitte di nomi, mappe, codici di guerra, la traccia di un odio senza fine passato di generazione in generazione.
La Cina chiede il suggello del riconoscimento di crimine contro l'umanità proprio attraverso quelle carte che dimostrano l'agonia di un intero Paese.
Quel lampo di odio si è riacceso negli occhi dei presidenti Xi Jinping e Shinzo Abe mentre nella Great Hall of People si scambiavano una storica, gelida, stretta di mano, a chiusura di due lunghi anni di schermaglie a distanza, fomentate da quegli eventi della storia cino-giapponese che dividono ancora profondamente i due Paesi.
Nel dicembre di quell'anno orribile, a partire dal 13, le acque del fiume Yang-tze che lambisce Nanchino in pochi giorni si gonfiarono di cadaveri putrefatti, trecentomila vittime secondo i cinesi, in pochi comunque scamparono all'eccidio. Finita la guerra i tribunali alleati ne contarono 167mila, di morti, ma il punto è che gli studiosi negazionisti si misero a smontare pezzo dopo pezzo l'intera tragedia.
Invano. Ieri la Cina che ha un'inestinguibile sete di verità riconosciuta, ha celebrato la prima giornata nazionale in onore delle vittime di Nanchino, nel luglio scorso ha ottenuto il placet per la candidatura degli archivi di Nanchino nel programma dell'Unesco "Memoria del mondo", ha aperto gli archivi ai taccuini e agli obiettivi dei cronisti stranieri. Vuole che si sappia e che si racconti cosa è successo in quei giorni del dicembre del 1937.
Lanciato nel 1992, il programma punta a conservare gli archivi e i documenti patrimonio dell'umanità, dalla Magna Charta al Capitale autografato da Carlo Marx ai diari di Anna Frank.
I cinesi, che hanno nove richieste pendenti, chiedono di inserire con forza gli archivi di Nanchino, la loro pratica più scottante, nella Memoria collettiva.

Ci vorranno mesi, la valenza politica della candidatura, stigmatizzata subito dai giapponesi che hanno chiesto, inutilmente, a Pechino di fare un passo indietro, è palese.
Il Comitato DELL'UNESCO dovrà valutare tutte le variabili, "Memoria del mondo" raccoglie manoscritti, documenti rari e registrazioni di storia orale che davvero abbiano una comprovata portata globale. Un sì per la Cina sarebbe vissuto dal Giappone come uno smacco terribile, soprattutto se ricalcasse alla lettera i desiderata cinesi.                                                                                              Postato : 14/12/15

INCAUTA SIGNORA ANNA GIANNETTI

Incauta signora Anna GIANNETTI,

Lei dice di non conoscermi? Bene; però si è permessa di giudicarmi, oltre tutto, sulla base del nulla: io sarei scorretto, irrispettoso, senza trasparenza e, continua con imprudenza a dire che le associazioni: “Il Salvagente e Rinascita Terracina” sono poche attive. Complimenti, “non trovo parole per rispondere.” Lei continua con il dire in modo assurdo che sono membro, insieme alle associazioni su menzionate del Suo/Vostro Gruppo, però, nello stesso rigo Lei si contradice scrivendo: che “non abbiamo mai partecipato  o chiesto di partecipare” poi aggiunge che la NOSTRA (non la vostra)  Petizione Pubblica on line non viene sostenuta dal SUO GRUPPO? e questo è un Vostro legittimo diritto che Noi del “Salvagente” vi difenderemmo, da chiunque volesse negarvelo. Lei però continuando con le Sue incaute rimostranze, cade sulla classica buccia di banana, perché aggiunge : “a meno di chiarimenti in merito.” Questo è per me inaudito, intollerabile, e rafforza in me che abbiamo fatto bene a non aderire e che non potrei mai far parte di un Gruppo diretto? da una persona che usa concetti che potremmo  declinare“MALISSIMO.”  Ma non voglio infierire perché mi consola un po’ il fatto: che incomincio a crederci che io sia per Lei uno Sconosciuto. Il sottoscritto ha sempre esercitato il diritto di essere Cittadino e mai suddito con i miei, prima che con gli avversari, in tutte le situazioni, da dirigente politico e delle associazioni di varie categorie che ho diretto, e da Amministratore, in maggioranza o all'opposizione.
I FATTI
Le Associazioni su menzionate e la mia persona non abbiamo mai aderito al Suo/Vostro Gruppo. E quindi  potrei chiuderla qui decidendo di cestinare le Sue lamentele perché destituite di ogni fondamento;  se non avessi molti amici sia su Facebook che nella vita reale che avranno deciso di aderire, anche iscritti a nostre associazioni, a cui devo rispetto a cominciare da Paolo Cerilli, Antonio D’Ettorre, Paolo Alberto Giannetti, Filomena Compagno e potrei continuare. Noi, già dal giugno del 2014 più di una volta ci siamo soffermati a trattare l’individuazione di un percorso adeguato per raggiungere un obiettivo fattibile e concreto: come assicurare le nostre acque termali alla fruizione pubblica dei Cittadini; a noi è sembrato che ci siano molti ostacoli da superare; Comunque da agosto 2015 siamo arrivati alla determinazione
della Petizione Pubblica on line per l’acqua Sulfurea e Magnesa.  E quindi la mia pagina più le due pagine del “Salvagente” più il Blog di Rinascita Terracina  più nostri attivisti e dirigenti, dai primi giorni di settembre abbiamo inondato, e continueremo, facebook e non solo, della nostra iniziativa e, molti sono stati invitati a firmare e a invitare  i propri amici di fare lo stesso e via di questo passo. E’certo che “gli
invii” siano arrivati a molti del SUO? Gruppo che sono anche nostri amici ed allora? Dovevamo chiedervi il permesso? Pretesa  Paradossale. Non ho ritenuto giusto condividere la NOSTRA Petizione sul Vostro Gruppo per rispetto. (ironia della sorte!) Era un sabato o una domenica quando si tenuta la prima Vostra riunione, incontrai delle  amicizie in comune che mi apostrofarono: ma non vai all’acqua magnesa?
risposi  no perché noi abbiamo scelto un altro percorso per un obiettivo diverso;  perché avevamo già letto il Vostro invito alla riunione e ci rendemmo conto che era DECISAMENTE OPPOSTO al nostro OBIETTIVO, quindi per rispetto della Vostra scelta che NON condividiamo, e dove ripetiamo, essendoci amici che rispetto, non abbiamo aderito. Lei voleva veramente che condividessimo sul Vostro Gruppo? 
perché non lo avete condiviso Voi? Potevate farlo, il tempo, da settembre ad oggi non è stato abbastanza per decidere? quindi deduco che sia stata una Vostra scelta; e Lei, cosa fa invece, dopo circa 3 mesi, a freddo mi riempie d’insulti, con stupide baggianate e qualche squallido concetto; e sinceramente non capisco come il Suo Gruppo l’abbia potuto permettere.
Mi permetto io esprimerle, qualche mio pensiero e, se vuole ne faccia tesoro: NON SERVE INSULTARE per ESPRIMERSI anche con ASPREZZA contro Altri che hanno posizioni e concezioni diverse dalle Sue; anche perché non tutti sono disposti ad accettare INSULTI senza reagire, sia per vivere dei rapporti civili degni, sia perché INSULTARE è un reato. Quindi si dia una calmata. Mi creda, per il Suo bene.
                                        Qui il 22/11/15 - lo sconosciuto  Antonio Alla.


FIRMIAMO PER RIPRISTINARE ALLA FRUIZIONE PUBBLICA LE SORGENTI DELL'ACQUA SULFURIA E MAGNESA

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PER LEGGERE UN ARTICOLO OGGETTIVO SU LA RUSSIA, CI PENSA "FAMIGLIA CRISTIANA"

I MORTI RUSSI MUOIONO SEMPRE UN PO' MENO
05/11/2015  Per una settimana circa i media occidentali, a proposito dell'aereo russo caduto sul Sinai, hanno rimosso l'ipotesi dell'attentato dell'Isis. Perché? E perché non riconoscere che la Russia è un partner importante nella lotta al terrorismo islamista?

A San Pietroburgo, il cordoglio per le vittime dell'aereo russo abbattuto sul Siinai (Reuters).

Per una settimana quasi tutti i media occidentali, ritrosi come giovinette, han fatto di tutto per non parlare di terrorismo islamico. Anche se c'era la rivendicazione dell'Isis. Anche se le compagnie aeree (fatto significativo: per prime quelle delle monarchie del Golfo) annunciavano di aver sospeso i voli su quella rotta. Anche se i voli russi verso le spiagge dell'Egitto sono frequentissimi e non si era mai avuto notizia di problemi o incidenti.

Poi è arrivato il via libera americano: 
è stata una bomba, hanno detto i servizi segreti Usa, a far precipitare sul Sinai il jet con 224 turisti russi a bordo. Annuncio accompagnato da altre rinunce: inglesi e irlandesi hanno smesso di volare su quei cieli, e anche Easyjet si è tirata indietro. A quel punto, persino la libera stampa del mondo libero si è fatta avanti: forse è stato un attentato, dicono i giornali. Bravi, sette più.

E' un procedimento che non deve stupire. Anzi, è una vecchia storia. 
Risale alla seconda metà degli anni Novanta, dopo la prima guerra di Cecenia (1994-1996), quando il fronte degli indipendentisti guidato da Dzhokar Dudaev cominciò a essere infiltrato sempre più pesantemente dagli islamisti, già allora finanziati (quasi ogni giorno si apriva una nuova moschea) e organizzata (alcuni dei capi guerriglieri, peraltro in conflitto perenne con i capi locali, erano sauditi o giordani) dall'Arabia Saudita, e naturalmente favoriti e motivati dalla brutalità e dalle violenze dell'esercito russo.

Quando osservo i video dei boia dell'Isis mi capita di pensare alle esecuzioni sommarie, da parte dei ceceni, dei soldati catturati in battaglia, e soprattutto
 al caso di Evgenyj Rodionov e Andrej Trusov, due soldati semplici russi catturati in territorio ceceno e decapitati con regolare filmato, mentre due altri loro commilitoni venivano semplicemente fucilati. Per Rodionov, assassinato nel giorno del suo ventesimo compleanno, pende in Russia una "causa di santità" perché in punto di morte il soldato rifiutò di abiurare la fede cristiana e convertirsi all'islam.

I guerriglieri ceceni, come tutti ricordano, giusta o sbagliata che fosse la loro causa,
 compivano azioni degne del peggiore terrorismo: attaccavano gli ospedali civili (a Budionnovsk), massacravano gli studenti nelle scuole (a Beslan), prendevano in ostaggio gli spettatori nei teatri (a Mosca). I loro capi, intanto, sognavano la creazione di un califfato del Caucaso, almeno quindici anni prima che Al Baghdadi sognasse di crearne un altro tra Siria e Iraq.

Nonostante tutto questo, e molto altro che si potrebbe dire, il mondo occidentale si è sempre rifiutato di riconoscere che la Russia si era trovata (e in parte si trova ancora) a combattere con il terrorismo islamico. I ceceni erano di volta in volta "indipendentisti", "ribelli", "guerriglieri", "combattenti". Tutto tranne che "terroristi islamici", qualifica che col tempo abbiamo attribuito quasi a chiunque impugnasse un'arma.

La ragione è evidente: delegittimare la Russia, toglierle qualunque forma di riconoscimento internazionale, negare fino al ridicolo che potesse/possa avere un ruolo all'interno di una battaglia comune con l'Occidente. Ovvero,
 lasciare mano libera agli Usa in quella sorta di perenne e crudele esperimento sociologico che conducono in Medio Oriente e che, da George Bush a Obama, ha un unico esito: frammentare dove c'era unità (Iraq, Siria, Libia...), impoverire dove c'era un decente tenore di vita, rendere ancora più netti i contrasti tra religioni, etnie, popoli. Questa è la politica che, tra l'altro, rischia di portare all'estinzione le comunità cristiane del Medio Oriente. Comunità che, tra le altre cose, facevano da collante culturale e sociale a quei Paesi prima in qualche modo uniti e ora avviati verso una divisione di fatto (Iraq, Libia) o addirittura perseguita e auspicata come in Siria.

OMAGGIO A PIER PAOLO PASOLINI, CON UNA SUA POESIA DEL 1961.




Oggi parliamo di Pasolini, e della poesia Alla mia nazione (da La religione del mio tempo, 1961):

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico,
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto il male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Fa parte della sezione Nuovi epigrammi (1958-1959), ed è una poesia che rischia forse, nel suo essere diventata per certi versi alla moda, di scadere a frame dell’indignazione, perdendo la dimensione letteraria. Quasi che il  citarla o il condividerla via blog o social network  esaurisca l’attività politica o culturale. Cerchiamo allora di vederne alcune peculiarità.
C’è una grande assente in questa poesia, ed è la parola «Italia», sostituita da «nazione». Pasolini sceglie dunque un tema vivo della tradizione letteraria, quello della propria patria – pensiamo per esempio a Italia mia, benché  ’l parlar sia indarno di Petrarca o All’Italia di Leopardi – ma lo fa senza il termine che più caratterizza il tema. Altra grande assente è per l’appunto la parola «patria», che esprime la propria terra come «terra dei padri». Pasolini inoltre ricorre all’epigramma, e non alla forma-canzone (come sarebbe più consono per una poesia civile), e dunque connota ancora di più la propria poesia come  «forza del passato», contrapposta al presente della «nazione». E la parola «nazione» dà al concetto di patria un senso legato al nascere, più che a un’appartenenza sviluppata e consolidata culturalmente.
Il poeta si rivolge perciò a chi è nato entro certi confini, e non tanto a chi, entro quei confini, ha maturato un senso condiviso di appartenenza («sei incosciente», verso 11). Ma solo dall’identità del poeta (dall’essere cioè Pasolini italiano) noi sappiamo che egli si sta rivolgendo all’Italia. E poiché non si riferisce a tratti universali, tale che questa poesia potrebbe valere come critica a qualunque nazione moderna, ma a tratti specifici (come ad esempio alla forte tradizione cattolica), l’assenza di parole come «Italia» e «patria» vale come un disconoscimento nel presente («sei esistita… non esisti», verso 12).
Questa sottrazione di parole tematiche e questo rifiuto verso la propria «nazione» lavorano in particolare nei primi due versi, in cui la «nazione» è espressa per ciò che non è («non… non… non… »), ricorrendo poi ad avversative da cui si dipana  il lungo elenco di figure e tratti miserabili.
Pasolini denuncia l’Italia borghese, il ceto allora dominante, e lo fa sul finire degli anni Cinquanta, ossia all’alba del boom economico, proprio quando la borghesia inizia la marcia trionfale nell’ebbrezza consumista. Possiamo dunque dire che Alla mia nazione è una poesia che non parla dell’Italia, come a una prima occhiata potrebbe far intendere: è una poesia che parla del rapporto disgustato tra il poeta e il ceto dominante dell’epoca, dominante in quanto massa (come nella forte immagine «Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci», verso 8). Dunque il poeta, nella tradizione che rappresenta, sente di non può accostare a una simile classe dominante la parola «Italia», disconoscendo la borghesia in quanto «patria». Sono figli senza padri degni di nota.
Lo stesso Pasolini, in Vie nuove, nel 1961 preciserà il concetto parlando dello scandalo prodotto da quella poesia nei fascisti:
I fascisti rimproverano per esempio a una mia poesia [Alla mia nazione] di essere offensiva alla patria, fino a sfiorare il reato di vilipendio. Salvo poi a perdonarmi – nei casi migliori – perché sono un poeta, cioè un matto. [...] Ecco cosa succede a fare discriminazione tra ideologia e poesia: leggendo quel mio epigramma solo ideologicamente i fascisti ne desumono il solo significato letterale, logico, che si configura come un insulto alla patria. Ma poi, rileggendolo esteticamente, ne desumono un significato puramente irrazionale, cioè insignificante. In realtà il momento logico e il momento poetico, in quel mio epigramma coesistono, intimamente e indissolubilmente fusi. La lettera dice, sì: la mia patria è indegna di stima e merita di sprofondare nel suo mare: ma il vero significato è che, a essere indegna di stima, a meritare di sprofondare nel mare, è la borghesia reazionaria della mia patria, cioè la mia patria intesa come sede di una classe dominante, benpensante, ipocrita e disumana.

Ecco dunque perché Alla mia nazione va letta al di là del significato solamente letterale di disprezzo, e soprattutto senza proiettare un proprio e generico sentimento di avversione verso la contemporaneità. 

CINA E LA CRISI IN SIRIA.


La Cina torna a chiedere la soluzione politica della crisi in Siria e una nuova conferenza a Ginevra.
Lo ha affermato oggi il ministero degli Esteri di Pechino, commentando che l'intervento russo nel Paese è avvenuto "su invito del governo siriano e mira a combattere il terrorismo" nell'area. La risoluzione politica é "il modo migliore" per terminare i disordini nel Paese, ha affermato la portavoce Hua Chunying. La Cina, ha poi aggiunto Hua, chiede un "egualitario, inclusivo e aperto dialogo" e una nuova conferenza sul tema sponsorizzata dall'Onu dopo quelle a Ginevra del 2012 e del 2014. Già la settimana scorsa, da New York, durante un vertice delle Nazioni Unite, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, aveva definito la risoluzione politica del conflitto come "l'unica via d'uscita possibile", sottolineando che la Cina puo' avere un "ruolo costruttivo" nella gestione della crisi.


 
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Rinascita Terracina: SIRIA, RUSSIA, FRANCIA, PUTIN, OBAMA, MERKEL, ASSA...

Rinascita Terracina: SIRIA, RUSSIA, FRANCIA, PUTIN, OBAMA, MERKEL, ASSA...: Siria, Chiesa: “Putin combatte l'Isis. Obama pensa ad Assad e alla Merkel col Dieselgate" 01 ottobre 2015,  “L’America sta ...

SIRIA, RUSSIA, FRANCIA, PUTIN, OBAMA, MERKEL, ASSAD : TERZA GUERRA MONDIALE?

Siria, Chiesa: “Putin combatte l'Isis. Obama pensa ad Assad e alla Merkel col Dieselgate"
01 ottobre 2015, 

“L’America sta perdendo il controllo del potere mondiale e la Russia lo sta dimostrando. Putin in Siria sta facendo ciò che in 4 anni non è riuscito alla coalizione occidentale e sta portando avanti una straordinaria operazione politica. In Germania l’hanno capito”. La premessa serve per inquadrare i fatti e leggerli in controluce: nella conversazione con Intelligonews Giuletto Chiesa,giornalista e scrittore, spiega il perché dei raid russi in Siria e gli errori di Washington. Con un suggerimento a Renzi.

Raid aerei russi in Siria. Come giudica l’iniziativa di Putin e cosa ci si deve aspettare?

«La situazione mi pare chiarissima e lo è altrettanto il campo da gioco: lo scacchiere è completamente cambiato nel momento in cui la Russia ha deciso di entrare in campo e ha rotto tutta la rete di menzogne costruite in questi anni. I dati della cosiddetta coalizione occidentale parlano chiaro e dicono che è da quattro anni che bombardano il regime di Assad e la Siria, cioè uno Stato sovrano, senza riuscire a far cadere Assad. La Russia cambia scenario quando decide di colpire tutti i nemici di Assad, ovvero i cosiddetti ribelli e i miliziani del Daesh senza alcuna distinzione. Vorrei sottolineare un dettaglio molto importante che non viene considerato: la Russia in questo momento, dal punto di vista della legalità internazionale, è l’unica ad avere la legittimità di sorvolare i cieli della Siria perché in accordo con il governo siriano. Tutti gli altri - Francia, Gran Bretagna, Turchia e Stati Uniti d’America - non hanno alcun diritto di fare ciò che hanno fatto. Tutto questo è stato capovolto dalla decisione di Putin». 

A questo punto Obama in quale situazione si trova? Oggi Kerry ha attaccato Putin, c’è un rimpallo di accuse.

«Direi che la situazione è comica… Ho letto stamani il New York Times, ascoltato le dichiarazioni del portavoce della Casa Bianca e quelle di Kerry. Qui siamo di fronte al fatto che il più importante Paese del mondo sta balbettando cose incongruenti – e la stampa italiana gli va dietro -  perché non c’è un filo di ragionamento che sta in piedi. La Russia bombarda i terroristi senza distinguere tra Isis e ribelli; noi sappiamo che l’Occidente ha armato gli uni e gli altri; sappiamo che l’obiettivo degli Stati Uniti non è quello di abbattere il terrorismo ma quello di abbattere Assad. E c’è la prova».

Quale?

«Tre anni e mezzo fa, ovvero quando veniva avviata la guerra in Libia, il presidente degli Stati Uniti attualmente in carica emise un decreto presidenziale che negli Usa ha valore di decisione ufficiale dello Stato americano, in cui si dichiarò che il governo siriano era nemico della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, nientepopodimenoche… Quindi, la dichiarazione di guerra alla Siria Obama l’ha fatta prima che esplodesse la guerra civile e l’ha voluta il presidente americano col suo decreto presidenziale anche se non si è mai saputo in base a cosa e perché. Il dato oggettivo è che tre anni e mezzo la fa la Siria è stata considerata un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e – ripeto – nessuno ha mai spiegato come, dove e quando. A questo punto gli Usa possono solo raccontare la favole del lupo di fronte all’iniziativa russa»

Al di là del’Isis, qual è l’operazione politica di Putin. Massimo Cacciari a Intelligonews sostiene che la Russia si sta riprendendo il ruolo imperiale che culturalmente e storicamente aveva. Condivide?

«Sono molto poco propenso a questo tipo di interpretazioni che ignorano i fatti. I tempi sovietici sono finiti da 24 anni; riproporre il discorso del ruolo imperiale della Russia la considero una sciocchezza. Quando qualcuno mi dirà che gli Usa hanno un ruolo imperiale, allora sarò disposto a ragionare sull’imperialismo. La verità è che gli americani stanno facendo un’operazione di destabilizzazione in Medio Oriente che sta producendo una serie di effetti molto gravi sugli equilibri internazionali e i primi a saperlo dovremmo essere noi europei, non so se qualcuno se n’è accorto. Putin sta facendo certamente un’operazione politica su due direttrici. La prima: da un lato presentarsi all’Europa come il difensore dell’Europa contro la grande ondata migratoria. Questa è una grande operazione politica che considero saggia. Putin fa politica e sta ottenendo risultati perché la Germania sta in sintonia con questa visione. La seconda: certamente una estensione del contagio islamista fanatico preoccupa anche la Russia che in casa sua ha 25 milioni di musulmani e non vuole essere troppo contagiata. Colpire il fondamentalismo sunnita è diventata una priorità anche per la Russia e del resto Putin ha detto chiaramente che si tratta anche di una misura difensiva. Non è che c’è qualcosa dietro; è tutto un unico problema. L’America si è mossa in modo scomposto, assolutamente distruttivo e la Russia interviene per fermarla. E ci sta riuscendo perché se la Russia comincia a bombardare i ribelli siriani e il Daesh l’avanzata dell’Isis verrà fermata»

C’è chi sostiene che siamo alle porte della terza guerra mondiale. Scenario apocalittico o verosimile?

«Gli scenari apocalittici sono talmente evidenti che perfino il Papa è già la terza volta che ne parla e meno male che chi guarda le cose per il verso giusto. Io lo dico da tempo e sono contento di non essere più da solo. Il pericolo c’è, così come quello della ripresa della guerra in Ucraina, ma gli Usa dovrebbero stare attenti perché in Europa, la Germania non è disposta ad andare nella stessa direzione; quindi uno dei problemi di Washington è tenere insieme il rapporto tra Usa ed Europa. L’ho detto ieri alla Gabbia e lo ripeto oggi a Intelligonews: sono convinto che lo scandalo Volkswagen sia un modo per mandare un avvertimento americano ai tedeschi affinchè rientrino nelle righe. Pensano che la Merkel sia uscita un po’ fuori; vediamo se ci riusciranno»

In tutto questo l’Italia che ruolo gioca? Se dovesse dare un consiglio a Renzi cosa gli suggerirebbe?


«Se potessi dare un suggerimento al signor Renzi gli direi che la cosa più saggia da fare è affiancarsi alla Germania perché il nostro interesse europeo è non rompere con la Russia ma riprendere il rapporto di partenariato, perché si tratta di un fornitore di energia importante e perché rappresenta il nostro gigantesco mercato vicino di casa. La Germania ha chiarissime queste cose. La realtà è che l’America vive dell’illusione di un potere che non ha più e la Russia sta dimostrando che è così. Ed un altro Paese che lo sta dimostrando è la Cina, mentre gli Usa stanno perdendo il controllo del potere mondiale».

MINISTRO MOGHERINI : RICORDA? ERA IL 23 MARZO 2014.



23 marzo 2014, 21:05
Mogherini: non si può isolare la Russia, sanzioni danno per l'Europa

Foto: EPA
L'Europa deve affrontare con particolare riguardo le sanzioni contro la Russia, in quanto i loro effetti possono avere un impatto negativo sulla UE, ha affermato il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini in un'intervista al Corriere della Sera.

"La realtà è che siamo tutti collegati. Se continuiamo a seguire la strada della rottura, finiremo in un mondo che non può essere gestito," - ha detto.
Secondo il capo della diplomazia italiana, le relazioni economiche tra Italia e Russia sono molto forti. La Mogherini ha anche sottolineato che resta in piedi la possibilità di una soluzione politica e diplomatica.